"Prima di scomparire", di Xabi Molia

Più riguardo a Prima di scomparire Mi trovo un po’ in difficoltà per non dire in imbarazzo a raccontarvi di Xabi Molia. Del perché è presto detto: altri, molto più acuti e istruiti di me in materia, ne hanno già abbondantemente discusso. E dell’opera, e della casa editrice che la propone. 
Per cominciare, due parole sulla casa editrice. Attraverso l’acronimo dei nomi di battesimo dei due fondatori, @lormaeditore rimanda non tanto ad una editoria “giovane” quanto al ruolo centrale dell’editore, che si intende così rivalutare nella sua esperienza di “persona di lettere”. Approda in libreria il 4 ottobre scorso con due titoli tra cui proprio “Prima di scomparire”, che fa parte della collana di punta della casa editrice, “Kreuzville” (crasi tra Kreuzberg e Belleville, quartieri di Berlino e Parigi in cui i due editori hanno vissuto), riservata ad autori tedeschi e francesi. 
Per approfondimenti, non posso fare altro che invitarvi alla lettura dell’interessante articolo (con intervista ai due editori) di A Cortellessa su @00doppiozero forse l’intervento più puntuale e completo che trattano dell’esordio della casa editrice romana.
Detto questo, parliamo dell’opera. Recentemente è apparso su @La_lettura (10/03/2013) un interessante articolo a firma Sandro Modeo dal titolo “Il ponte sospeso tra le sponde franate”. Sottotitolo: “Il passato non c’è più, il futuro non c’è ancora. La parentesi temporale del presente fotografa la nostra condizione. Però non esaurisce il nostro mondo”. SModeo accosta e pone in correlazione la crisi del presente, fatta di un passato “che non c’è più” e di un futuro “che non c’è ancora” – si va dalla precarietà economica e quindi sociale a quella esistenziale, che ne è conseguenza – con alcune tipologie di fruizioni letterarie che al momento paiono preponderanti e in continua ascesa (o revival): “da un lato, un rifugiarsi nostalgico-riflessivo nella società letteraria ante web (i classici, la poesia, i grandi scrittori di lingua e di stile); dall’altro, l’adesione acritica a fiction di genere (vampiri, zombie, le stesse distopie). Come a dire, un ripiegamento museale contro una proiezione esorcistica”. La distopia in special modo “rinunciando all’illusione dell’utopia, prefigura un futuro in negativo per scongiurarlo”. 
Xabi Molia, 35 anni, è sceneggiatore e insegnante di cinema all’università di Poitiers e, nonostante la giovane età, già affermato scrittore (questo è il suo quinto romanzo). L’opera rientra perfettamente nei canoni della fantascienza distopica, sia per ambientazione sia per contenuti. 
XXI secolo, futuro prossimo. 
In una Parigi dilaniata dalla guerra civile appena conclusa, scoppiata a seguito di una grave crisi economica, si aggira il medico Antoine Kaplan, a cui il governo ha assegnato il compito di ricercare e segnalare tutti coloro che mostrano i primi sintomi (banalmente, prodromi di una brutta influenza) di un misterioso virus che sta trasformando la popolazione in una sorta di esseri-zombie crudeli e violenti ma dotati di raziocinio e intelligenza, il cui unico scopo pare la distruzione della razza umana. Dato che per ora sembra non esistere antidoto alcuno contro il virus, che per altro è in grado di mutare e rafforzarsi, e siccome gli “infetti” diventano sempre più organizzati nei loro attacchi – sostenuti anche da sacche di ribelli “umani” – , quella di Kaplan, e di altri come lui facenti parte del Dipartimento dell’Individuazione, viene ad assumere i connotati di un’inutile corsa contro il tempo verso un destino ineluttabile. L’ambientazione, cupa, oppressiva e ossessionante è tratteggiata con sapienza e ogni particolare è utile e necessario all’economia del racconto, senza mai risultare ridondante. 
In parallelo al dramma sociale dobbiamo anche seguire anche le vicende personali di Antoine. Prigioniero, in tempi precedenti, di un campo di deportazione (poiché di gruppo sanguigno AB, che alle autorità pareva, all’inizio del contagio, il più sensibile all’attecchimento del virus) e poi fuggito dall’area di detenzione, ora a seguito della riabilitazione concessa alla popolazione ingiustamente deportata (o meglio, a quella parte di popolazione deportata E sopravvissuta al carcere) è medico e si occupa di rilevare i sintomi incipienti della malattia, sempre trattando i malati con la maggior compassione e cura possibile. Ma non solo. Hélène, sua moglie, attivista politica e nota autrice di fumetti pubblicati a “strisce” su una famosa rivista, è misteriosamente scomparsa, forse unitasi ad uno dei gruppi sovversivi a cui pare sia legata – o forse semplicemente fuggita con un amante di cui Antoine, indagando, rileva qualche traccia: il rapporto di Antoine con la moglie, pur fresco di appena qualche anno, si era esaurito da diversi mesi e i due vivono nella completa estraneità, benché inquilini dello stesso misero e fatiscente appartamento. 
Come ha più volte riferito l’autore stesso, “Prima di scomparire” è un tentativo di rilettura della storia in chiave letteraria, dalle pagine indelebili e infamanti della Repubblica di Vichy alla realtà odierna dei sans papiers. L’idea quindi supera la rappresentazione distopica, a cui tanto comunque deve e che conserva in sé tutti i suoi topoi narrativi, dalle atmosfere fatiscenti e vagamente steampunk di edifici, abiti e occupazioni, e si concentra piuttosto sulla ricerca del sé – e dell’altro – sia come Uomo, sia come individuo
Un esempio su tutti, l’accento che l’autore pone sul culto delle lettere e dell’arte in generale. Nel romanzo, nonostante il clima di terrore e la devastazione della guerra, tra palazzi in rovina privi di corrente elettrica, computer e cellulari ormai abbandonati in stanze polverose, i cittadini di Parigi ritornano a dilettarsi con la cultura umanistica: divengono scrittori, giornalisti, filosofi, artisti, attori. Fioriscono i circoli letterari organizzati e improvvisati, ci si reca a teatro, si ragiona di filosofia, si rispolverano i classici, l’amore per le citazioni, la passione per i libri e le opere artistiche dell’ingegno umano. Eppure, il dubbio rimane. Siamo di fronte ad una reale presa di coscienza che comprende il recupero della tradizione e la sua rivalutazione, oppure, piuttosto, ad una pantomima unicamente di facciata nel tentativo di salvare tutto ciò che – tutti sanno – non potrà essere salvato? 
La risposta forse ci viene offerta dallo stesso Kaplan, nel finale dell’opera. Anzi, da un suo alter-ego di età anagrafica più avanzata e di fama un po’ più nota: Robert Kerans, che con Kaplan condivide il ruolo del protagonista all’interno di un romanzo distopico dal finale aperto e dalla forte e profonda recherche spirituale:
Così abbandonò la laguna e si addentrò nuovamente nella giungla. Nel giro di qualche giorno si perse completamente, seguendo le lagune che si susseguivano verso sud nella pioggia e nel calore sempre più intensi, attaccato dagli alligatori e dai pipistrelli giganti, un secondo Adamo alla ricerca dei paradisi dimenditcati del sole rinato” (JG Ballard, “Il mondo sommerso”, traduzione di Stefano Massaron, Feltrinelli 2005, p199). 
Buona lettura 🙂

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